giovedì 25 febbraio 2010

196 - 2^ DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C) - 28 Febbraio 2010

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,28-36)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto. Parola del Signore

Commento alle letture
"Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore" (sal 26), recita il salmo responsoriale di questa domenica, e, in tal modo, ci indica anche uno dei significati di questo tempo liturgico, il quale, oltre che cammino di fede, è anche cammino di speranza, la stessa speranza, che ci sostiene nella vita, e dà forza al desiderio di conseguire la felicità, raggiungere la salvezza, e realizzare l'incontro con Dio. E' la stessa speranza che il Salmista canta in questi versi:
"Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto". ( sal.26)
La speranza, di conoscere il volto del Signore, è quella che sostiene il fedele, anche nei giorni oscuri della sofferenza, quella che faceva esclamare a Giobbe, icona dell'uomo provato da innumerevoli tribolazioni: "...dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, i miei occhi lo contempleranno, e non da straniero..." (Gb. 19, 27) La ricerca del Volto di Dio, è il desiderio profondo che attraversa tutta la Storia della Rivelazione; conoscere questo Volto, significa contemplare la gloria di Colui che salva, che ama e guida il suo popolo, verso "la terra promessa", immagine, dietro la quale, è adombrata la salvezza eterna. È la promessa fatta ad Abramo, padre nella fede, che animato da questa speranza, inizia il suo lungo peregrinare, che ritroviamo nella prima lettura.
"Non nascondermi il tuo volto", supplica, ancora, il Salmista. A questo desiderio profondo e vitale dell'uomo, Dio ha risposto, nella pienezza dei tempi, col suo Figlio che, incarnandosi, ha assunto un volto umano, e lo ha assunto in tutta la concretezza della sua realtà: dallo stupore del bambino, al volto dell'amico, capace di aiutare, di godere e di soffrire; in Cristo, il Volto di Dio, si è mostrato, in tutto, simile ad ogni volto d'uomo, nella bellezza, cantata dal salmo: "tu sei il più bello tra i figli dell'uomo...sulle tue labbra è diffusa la grazia..." (sl.44), e nel disfacimento dell'angoscia al momento della passione della morte. Di questo Volto, ci parla, oggi, Luca, nel brano del Vangelo, che racconta la trasfigurazione di Cristo, sotto gli occhi di tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni, quelli stessi, che dovranno tenergli compagnia nel Getzemani, e che, per primi, dovranno dare testimonianza della resurrezione del Signore. "In quel tempo, recita il testo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare".
È durante la preghiera, che il volto del Maestro cambia d'aspetto, Luca non dice altro del volto di Cristo durante la trasfigurazione, solo, aggiunge, che la sua veste divenne " candida e sfolgorante", due aggettivi che sono segno della divinità. L'uomo Gesù, rivela ai suoi discepoli la sua natura divina, ed essi ne hanno conferma, nelle parole provenienti da quella nube, che li aveva avvolti: «Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo».
Sul monte, accanto a Gesù, i tre discepoli videro, anche "due uomini, che parlavano con lui", Mosè ed Elia, precisa l' Evangelista, simboli della Legge e dei Profeti, una presenza, che è chiaro segno, che tutto l'antico Testamento confluisce nel Cristo Figlio di Dio, piena rivelazione del Padre.
In tanta gloria, che aveva tenuto svegli quei poveri uomini, oppressi dal sonno, Mosè ed Elia, parlano con Gesù della sua "dipartita", del suo "esodo" da questo mondo; parlano, quindi, dell'imminente passione, allorché il volto del Figlio di Dio non avrà più bellezza, né splendore, come profetizzò Isaia, ma sarà coperto di sputi e di sangue, sarà sfigurato dal dolore, tanto, da non attirare più alcuno sguardo. È questa, l' immagine che fa da sfondo, a quella figura d'uomo dal volto splendente e dalle vesti sfolgoranti.
La visione, tuttavia, è di breve durata, essa non può costituire un rifugio; le parole di Pietro: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende...», non hanno senso, nel progetto salvifico di Dio, e non rientrano nella missione del Cristo; bisogna scendere dal monte e dirigersi verso Gerusalemme, e da lì salire al Calvario, bisogna portare a compimento l'esodo, tenendo vive nel cuore, le parole udite dalla nube:«Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo!».
La visione, di Cristo trasfigurato è, principalmente, la manifestazione della sua divinità, ma è, anche, la rivelazione, dello splendore finale, del volto di ogni uomo redento.
Quando, il nostro esodo personale, giungerà a termine, e la nostra speranza, troverà compimento nell'incontro con Dio, anche noi splenderemo della Sua stessa gloria.
È la forza e la consolazione che ci vengono dall'evento grande della Trasfigurazione, consolazione e forza, che devono essere l'anima del nostro cammino di fede e di speranza, che, inevitabilmente, passa per una via di dolore e di croce; "Se qualcuno vuol venire dietro di me - ha detto Gesù – prenda la sua croce e mi segua" ( Mc. 8,34); non si può percorrere una strada, diversa da quella che porta al Golgota, e vedere il Volto del Padre.


195 - PURIFICAMI, MIO SIGNORE

Purificami, o Signore, sarò più bianco della neve.
Pietà di me, o Dio nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. (Sal 50 3-4)
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Lávame y quedaré más blanco que la nieve.
Ten piedad de mí, oh Dios, en tu bondad, por tu gran corazón, borra mi falta. Que mi alma quede limpia de malicia, purifícame de mi pecado. (Sal 50, 3-4)

venerdì 19 febbraio 2010

194 - 1^ DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C) - 21 Febbraio 2010

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,1-13)
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato. Parola del Signore
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Commento alle letture
Gesù di Nazareth, vero Dio e vero uomo, proprio, in quanto uomo, viene tentato; la sua fede è messa alla prova, nel deserto, là, dove Egli si era ritirato, per un tempo di preghiera e di digiuno."Gesù, pieno di Spirito Santo, recita il Vangelo di Luca, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto.."Il deserto è, il luogo che caratterizza la Quaresima, che diventa, così, tempo di particolare silenzio e solitudine, tempo, che prevede, anche, delle rinunce, allo scopo di creare uno spazio interiore, maggiormente aperto a Dio e alla sua Parola; in questo tempo, infatti, la parola di Dio, deve risuonare più alta nell'anima, più alta di tutte le altre voci, nelle quali siamo, inevitabilmente, immersi. In questo modo, la Quaresima, diventa luogo di contemplazione, del Mistero di Cristo Redentore, e tempo di preghiera più intensa, nella quale, la fede si fa più chiara e forte. La fede, dono grande di Dio, dono gratuito, non è, infatti, qualcosa di scontato, che viva per forza d'inerzia, ma ha bisogno di esser alimentata, rinsaldata, e resa capace di tradursi in uno stile di vita, serio e coerente. E' quel che, in questa prima domenica di Quaresima, ci insegnano le tre letture e il salmo responsoriale, un insegnamento che viene dalla vita e dalla Storia, nella quale Dio si rivela, col suo amore che salva. Il primo insegnamento è quello che ci offre il breve passo del Deuteronomio, in cui Mosè dà ragione dell'offerta delle primizie a Dio; nelle sue parole è riassunta la storia del suo popolo, un popolo che non aveva terra, che si insediò in Egitto, dove fu ridotto in schiavitù ed oppresso, ma fu liberato, e condotto da Dio, nelle terra che Egli stesso aveva promesso: "Gli Egiziani ci maltrattarono, recita il testo, ci umiliarono e ci ridussero in schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso,.... ci condusse in questo luogo, e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele". Anche il Figlio di Dio, uomo come noi, fu messo alla prova, con quelle stesse tentazioni, che insidiano ogni esistenza umana, la tentazione del possesso, del potere, e della manipolazione di Dio. Tentazioni che, l'Evangelista stigmatizza in tre frasi: «Se tu sei figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane» «Ti darò tutta questa potenza, e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani, e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo». «Ai suoi angeli, darà ordine per te, perché essi ti custodiscano... essi ti sosterranno cori le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra.» A queste insidiose proposte del Maligno, Gesù risponde, con la forza della fede nella parola di Dio:«Sta scritto: non di solo pane vivrà l'uomo.». Poi, di fronte alla visione dei regni della terra, Lui, che avrebbe testimoniato una regalità ben diversa, fondata sull'amore che si attua nel servizio, risponde: «Sta scritto: solo, al Signore tuo Dio ti prostrerai, lui solo adorerai». Infine, Luca parla di Gerusalemme, la città santa, l'ultimo traguardo della vita terrena di Gesù, qui, sul pinnacolo del tempio, dove Satana lo ha trasportato, il Figlio di Dio affronta, l'ultima tentazione. Gesù sapeva bene d'essere il Messia, la sua coscienza d' esser il Figlio di Dio, inviato dal Padre, per la redenzione dell'uomo, era chiara, ma, ora, di fronte a Lui c'è una scelta: o esser il Messia trionfante, spettacolare, potente, oppure, il Figlio obbediente, disposto a bere il calice amaro della condanna e della morte.Di fronte alla tentazione di Satana, di manipolare Dio, e, assoggettare la volontà di Lui a quella dell'uomo, Cristo risponde: «E' stato detto:"Non tenterai il Signore, Dio tuo"». L'insegnamento del Vangelo è chiaro, e la testimonianza del Salvatore Gesù ci è di conforto; Cristo, come ogni altro uomo, ha affrontato l'insidia del Maligno, ma la forza della fede, ha vinto. Di questa Parola, Paolo, oggi, ci parla con questa parole: "Fratelli, che dice la Scrittura? «Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore»: cioè, la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore, che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore, infatti, si crede per ottenere la giustizia e, con la bocca si fa la professione di fede, per avere la salvezza."»(Romani 10, 8 13) Una salvezza offerta a tutti, in ogni tempo e in ogni luogo della terra; "Infatti, continua l'Apostolo, chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato".

mercoledì 17 febbraio 2010

193 - QUARESIMA 2010

Ritornate a Dio con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perchè egli è misericordioso. (Gl 2,12-13)
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Vuelvan a mí con todo corazón, con ayuno, con llantos y con lamentos. Rasguen su corazón, y no sus vestidos, y vuelvan a Yavé su Dios, porque él es bondadoso y compasivo. (Jl 2,12-13).
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Dal mercoledì delle ceneri alla Veglia Pasquale

La quaresima ci esorta, a moderazione, a preghiera, a digiuno e penitenza. Tutto ciò non come opere dovute o come prestazioni per avere ricompensa. Piuttosto come via di vera conversione, come strada per recuperare l’essenziale, per riscoprire ciò che veramente vale nella vita: la carità in particolare, come tratto caratterizzante la vita cristiana, che preserva dal ripiegare su noi stessi e rende capaci di costruire umanità accogliente e riconciliata.

venerdì 12 febbraio 2010

192 - 6^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) 14 Febbraio 2010

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 6,17.20-26)
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame,perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti». Parola del Signore
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Commento alle letture
La liturgia eucaristica di questa domenica ci ripropone uno dei brani più celebri del Vangelo, "il discorso delle beatitudini" che rileggiamo, oggi nella versione di Luca, più breve ma più incisiva di quella parallela di Matteo (10,1-4). Gesù, sceso dal monte, sul quale aveva trascorso la notte in preghiera, si ferma in un luogo pianeggiante, con alcuni discepoli che costitusce apostoli; lì, ben presto si radunano altri discepoli in gran numero ed una numerosa folla "di gente da tutta la Giudea - recita il testo - da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne". A questa moltitudine il Maestro parla con un discorso, a prima vista, assurdo. Infatti egli esordisce dichiarando beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati; ma questo discorso ha un obiettivo ben preciso, che è quello di delineare i tratti del vero discepolo; infatti le parole di Gesù sono rivolte a quanti, tra quella folla, hanno già compiuto una scelta importante: la sequela di Lui, il Maestro che annuncia la buona novella del Regno di Dio, un regno presente tra gli uomini nella Sua persona che parla. Al di fuori della scelta fondamentale di Cristo è molto difficile, per non dire impossibile, dare un senso a questo discorso che sembra esaltare le situazioni più dolorose della vita; ma con Cristo, "ogni beatitudine" ha la sua ragion d'essere." Beati voi - scrive Luca - voi poveri... voi, che ora avete fame... voi, che ora piangete.. voi, che gli uomini odieranno... metteranno al bando… insulteranno, disprezzeranno a causa del Figlio dell'uomo"; ed è Lui, il Figlio dell'uomo, Gesù, la ragione vera e profonda della beatitudine che resta inalterata anche nelle situazioni estreme; l'apostolo Paolo, più tardi, scrivendo ai cristiani di Roma, dirà: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, i pericoli, la spada?... Ma, in tutte queste queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amato" (Rm 8,35-37)Al di fuori della fede in Cristo e dell'esperienza dell'amore di Lui, nessuno può dire d'esser beato nell'indigenza, nel pianto, nell'ingiustizia, nella diffamazione e tanto meno nella persecuzione; ma all'interno di un'esperienza di fede forte e sincera ciò è possibile e la Storia, dagli inizi del cristianesimo fino ai giorni nostri, ne è testimone attraverso la numerosa schiera di uomini e donne che, in tali situazioni, non hanno perduto la serenità, la gioia profonda, e si sono mantenuti fedeli al Cristo, nel quale hanno creduto, hanno sperato e per il quale hanno vissuto e son morti.
Le parole del Cristo, che oggi abbiamo riletto, sono perciò parole che, se da un lato illuminano e confortano, per un altro verso ammoniscono severamente; sono parole forti con le quali il Figlio di Dio affida a noi, suoi discepoli, i poveri del nostro tempo, gli affamati, gli afflitti e i perseguitati, perché risaniamo nel Suo nome ogni dolore, rendendo presente in tal modo il Regno di Dio, al quale oggi, con tutta la Chiesa ripetiamo: "O Dio, che respingi i superbi e doni la tua grazia agli umili, ascolta il grido dei poveri e degli oppressi che si leva a te da ogni parte della terra: spezza il giogo della violenza e dell'egoismo che ci rende estranei gli uni agli altri e fa' che accogliendoci a vicenda come fratelli diventiamo segno dell'umanità rinnovata nel tuo amore."

mercoledì 10 febbraio 2010

191 - SOLO IN DIO

Solo in Dio riposa l'anima mia: da lui la mia salvezza. (Sal 61,2)
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En Dios sólo descansa el alma mía, de él espero mi salvación. (Sal 61,2)

sabato 6 febbraio 2010

190 - MESSAGGIO DEL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE PER LA 32^ GIORNATA PER LA VITA - 07 Febbraio 2010 - LA FORZA DELLA VITA UNA SFIDA NELLA POVERTA'

Chi guarda al benessere economico alla luce del Vangelo sa che esso non è tutto, ma non per questo è indifferente. Infatti, può servire la vita, rendendola più bella e apprezzabile e perciò più umana.
Fedele al messaggio di Gesù, venuto a salvare l'uomo nella sua interezza, la Chiesa si impegna per lo sviluppo umano integrale, che richiede anche il superamento dell'indigenza e del bisogno. La disponibilità di mezzi materiali, arginando la precarietà che è spesso fonte di ansia e paura, può concorrere a rendere ogni esistenza più serena e distesa. Consente, infatti, di provvedere a sé e ai propri cari una casa, il necessario sostentamento, cure mediche, istruzione. Una certa sicurezza economica costituisce un'opportunità per realizzare pienamente molte potenzialità di ordine culturale, lavorativo e artistico.
Avvertiamo perciò tutta la drammaticità della crisi finanziaria che ha investito molte aree del pianeta: la povertà e la mancanza del lavoro che ne derivano possono avere effetti disumanizzanti. La povertà, infatti, può abbrutire e l'assenza di un lavoro sicuro può far perdere fiducia in se stessi e nella propria dignità. Si tratta, in ogni caso, di motivi di inquietudine per tante famiglie. Molti genitori sono umiliati dall'impossibilità di provvedere, con il proprio lavoro, al benessere dei loro figli e molti giovani sono tentati di guardare al futuro con crescente rassegnazione e sfiducia.
Proprio perché conosciamo Cristo, la Vita vera, sappiamo riconoscere il valore della vita umana e quale minaccia sia insita in una crescente povertà di mezzi e risorse. Proprio perché ci sentiamo a servizio della vita donata da Cristo, abbiamo il dovere di denunciare quei meccanismi economici che, producendo povertà e creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita, colpendo soprattutto i più deboli e indifesi.
Il benessere economico, però, non è un fine ma un mezzo, il cui valore è determinato dall'uso che se ne fa: è a servizio della vita, ma non è la vita. Quando, anzi, pretende di sostituirsi alla vita e di diventarne la motivazione, si snatura e si perverte. Anche per questo Gesù ha proclamato beati i poveri e ci ha messo in guardia dal pericolo delle ricchezze (cfr Lc 6,20-25). Alla sua sequela e testimoniando la libertà del Vangelo, tutti siamo chiamati a uno stile di vita sobrio, che non confonde la ricchezza economica con la ricchezza di vita. Ogni vita, infatti, è degna di essere vissuta anche in situazioni di grande povertà. L'uso distorto dei beni e un dissennato consumismo possono, anzi, sfociare in una vita povera di senso e di ideali elevati, ignorando i bisogni di milioni di uomini e di donne e danneggiando irreparabilmente la terra, di cui siamo custodi e non padroni. Del resto, tutti conosciamo persone povere di mezzi, ma ricche di umanità e in grado di gustare la vita, perché capaci di disponibilità e di dono.
Anche la crisi economica che stiamo attraversando può costituire un'occasione di crescita. Essa, infatti, ci spinge a riscoprire la bellezza della condivisione e della capacità di prenderci cura gli uni degli altri. Ci fa capire che non è la ricchezza economica a costituire la dignità della vita, perché la vita stessa è la prima radicale ricchezza, e perciò va strenuamente difesa in ogni suo stadio, denunciando ancora una volta, senza cedimenti sul piano del giudizio etico, il delitto dell'aborto. Sarebbe assai povera ed egoista una società che, sedotta dal benessere, dimenticasse che la vita è il bene più grande. Del resto, come insegna il Papa Benedetto XVI nella recente Enciclica Caritas in veritate, "rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico" (n. 45), in quanto "l'apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica" (n. 44).
Proprio il momento che attraversiamo ci spinge a essere ancora più solidali con quelle madri che, spaventate dallo spettro della recessione economica, possono essere tentate di rinunciare o interrompere la gravidanza, e ci impegna a manifestare concretamente loro aiuto e vicinanza. Ci fa ricordare che, nella ricchezza o nella povertà, nessuno è padrone della propria vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale.

189 - 5^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 07 Febbraio 2010

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,1-11)
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Parola del Signore
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Commento alle letture
Lasciarono tutto e lo seguirono

"E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono". Si conclude così il brano del Vangelo di questa domenica che ci fa incontrare Gesù lungo la riva del lago di Tiberiade, un luogo caro al Figlio di Dio che qui ha operato tanti dei suoi interventi salvifici ed oggi, come ci dice Luca, opera ancora qualcosa di grande in ordine alla salvezza, chiamando a collaborare alla sua missione alcuni pescatori e, tra questi, quello che poi sarà il pastore del nuovo piccolo gregge: Simone, che Gesù chiamerà Pietro.
Gesù si trovava presso il lago di Genesaret, o Tiberiade, e molta folla "gli faceva ressa attorno, recita il testo, per ascoltare la parola di Dio"; era necessario dar modo a tutti di sentire le sue parole, e fu così che, viste due barche accostate alla sponda, il Maestro salì su una di esse: era la barca di Simone e da lì parlò alle folle. L'incontro coi pescatori, che poteva anche sembrare fortuito, non finì con quella singolare ospitalità; Gesù, quando ebbe concluso il suo discorso alla moltitudine radunata presso il lago, iniziò a parlare con Simone e con gli altri pescatori che si trovavano con lui: erano povera gente, abituata ad un lavoro faticoso, spesso rischioso, e che, proprio quella notte, non aveva approdato a nulla; ma il Signore, trasformò il nulla di quella inutile fatica nel dono inestimabile della chiamata divina alla evangelizzazione. Così, quando ebbe finito di parlare alla folla, Luca racconta che Gesù disse a Simone: «Prendi il largo, e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». E i pescatori presero il largo, gettarono le reti e fecero una grande pesca, che aveva del prodigioso, tanto che Simone, alla vista del miracolo, si inginocchiò davanti a Gesù esclamando: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore»; non sapeva, e non poteva ancora saperlo, che colui che egli già chiamava " Signore" era venuto tra gli uomini proprio per i peccatori, e che, di lì a poco, avrebbe scelto proprio lui, il peccatore, a guida di tutti i suoi discepoli; non poteva immaginare, il Pescatore di Galilea, che a lui, il più generoso e allo stesso tempo così debole e insicuro, il Cristo avrebbe affidato la sua Chiesa.
E' questa la scelta che Gesù farà di Simone e che spiega il significato del miracolo, un gesto che non voleva, certo essere la soluzione dei problemi di quei pochi pescatori, i quali avevano trascorso una notte di inutile fatica; il prodigio di quella pesca fuori dall'ordinario aveva un senso ben più alto e una portata infinitamente più vasta: esso era il segno di quella misteriosa "pesca", nell'ordine dello spirito, che Simone, divenuto Pietro e guida del nuovo popolo di Dio, avrebbe portato avanti, giorno dopo giorno, nel nome del suo Maestro, il Cristo.
«Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore»", sono le parole del pescatore sorpreso e turbato, ma la risposta di Gesù allontana ogni perplessità: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». Adesso la vocazione di Simone è chiara; la vocazione, qualunque vocazione, è la felice irruzione del divino nella vita dell'uomo, un mistero, e, allo stesso tempo, un dono di grazia, che sconvolge l'esistenza, e la indirizza sulla via di Cristo definitivamente.
Di fronte ad un evento tanto grande, c'è, sempre, un momento di trepidazione, nella consapevolezza della propria incapacità e fragilità, come pure, dell'indegnità di ricevere da Dio un dono tanto grande; ed è quel che leggiamo nell'esperienza di Isaia e di Paolo, della cui chiamata la liturgia oggi ci parla.
«Ohimè! Io sono perduto!»; esclama il sacerdote Isaia, che ha preso coscienza del progetto di Dio su di lui, un progetto che lo designava ad esser profeta, egli infatti si riteneva indegno ed inadatto a questo compito, e ne spiega la ragione con queste parole: «un uomo dalle labbra impure io sono, e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». E Paolo, il più grande tra gli apostoli di tutti i tempi, parlando delle apparizioni del Cristo risorto dirà: "Ultimo fra tutti apparve anche a me, come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me". Anche l'Apostolo, dunque, si riconosce idegno della chiamata ricevuta, si paragona ad un essere mai venuto alla luce ed afferma così, che la forza del suo ministero, come di ogni ministero, è tutta nella grazia che viene da Cristo e nel Vangelo che egli ci ha dato; la vera forza infatti è la Parola, quella Parola per la quale Simone, dopo una notte di inutile fatica, getterà nuovamente le reti per la pesca: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte, dice il discepolo, e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti», e quella fede semplice, quell'obbedienza senza riserve, lo trasformerà in pescatore di uomini. La forza di ogni vocazione, non è dunque nell'uomo o nella donna scelti per una missione, ma in Dio che sceglie in Cristo e sceglie, come Paolo scrive: "ciò che è stoltezza del mondo, per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che è debole per confondere i forti; Dio ha scelto ciò che è ignobile nel mondo, ciò che è disprezzato, e ciò che è nulla, per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa gloriarsi davanti a Dio." (I Cor. 1,27-29).
La vocazione, che viene da Dio, non guarda ai meriti della creatura ma è determinata esclusivamente dall'amore infinito e gratuito di Lui, che sempre manda nel mondo uomini e donne che portino a tutti la luce del Cristo Redentore, che testimonino la forza della Parola di verità, la parola del Vangelo: l'unica che possa dare salvezza. La vocazione, che nasce dall'Alto, è dunque un progetto, una proposta che Dio fa all'uomo e, come tale, attende una risposta, come la attese da Maria di Nazareth chiamata ad esser la madre di suo Figlio, come l'attese da Simone e dagli altri pescatori, allo stesso modo la attende oggi da ognuno di noi, che siamo battezzati in Cristo e perciò chiamati alla sequela e inviati per una missione. Anche noi dobbiamo dare la nostra risposta, dobbiamo compiere quel gesto di totale abbandono nel Signore Gesù che Luca riassume in quelle poche, incisive parole: "lasciarono tutto e lo seguirono". Cosa lasciarono i pescatori di Galilea? Forse poco o forse tanto, sicuramente in quel "tutto" di cui Luca parla c'è tutta la loro vita, i loro progetti, i loro affetti; essi lasciarono tutto questo, fidandosi della parola del Cristo e lo seguirono per condividere con Lui la missione affidatagli dal Padre, di portare la salvezza ad ogni uomo. In modi diversi, Dio fa ancora ad ognuno di noi questa stessa proposta e da noi attende l'abbandono totale alla sua iniziativa; non importa cosa e quanto lasceremo per seguire il Cristo: conta, invece, la dedizione interiore, la radicalità della sequela e il desiderio grande di essere, ovunque, testimoni del Vangelo.

giovedì 4 febbraio 2010

188 - TU SEI IL MIO DIO

O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora io ti cerco. (Sal 62, 2)
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Oh Dios, tú eres mi Dios, a ti te busco. (Sal 62,2)