sabato 30 marzo 2013

479 - DOMENICA DI PASQUA - RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO C) - 31 Marzo 2013

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
 
Commento
Che cos’è che fa correre l’apostolo Giovanni al sepolcro? Egli ha vissuto per intero il dramma della Pasqua, essendo molto vicino al suo maestro. Ci sembra perciò inammissibile un’affermazione del genere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Eppure era proprio così: non meravigliamoci allora di constatare l’ignoranza attuale, per molti versi simile. Il mondo di Dio, i progetti di Dio sono così diversi che ancor oggi succede che anche chi è più vicino a Dio non capisca e si stupisca degli avvenimenti.
“Vide e credette”. Bastava un sepolcro vuoto perché tutto si risolvesse? Credo che non fu così facile. Anche nel momento delle sofferenze più dure, Giovanni rimane vicino al suo maestro. La ragione non comprende, ma l’amore aiuta il cuore ad aprirsi e a vedere. È l’intuizione dell’amore che permette a Giovanni di vedere e di credere prima di tutti gli altri. La gioia di Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele. Un’amicizia che niente e nessuno potrebbe spezzare. È possibile? Io credo che la vita ci abbia insegnato che soltanto Dio può procurarci ciò. È la testimonianza che ci danno tutti i gulag dell’Europa dell’Est e che riecheggia nella gioia pasquale alla fine del nostro millennio. 

venerdì 22 marzo 2013

478 - DOMENICA DELLE PALME (ANNO C) - 24 Marzo 2013

Forma breve (Lc 23,1-49):

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca

- Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna
In quel tempo, tutta l’assemblea si alzò; condussero Gesù da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.

- Erode con i suoi soldati insulta Gesù
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.

- Pilato abbandona Gesù alla loro volontà
Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.

- Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me
Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.

- Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.

- Costui è il re dei Giudei
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

- Oggi con me sarai nel paradiso
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

- Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito
Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.

(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)

Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.
 
Commento
Festeggiamo oggi l’entrata messianica di Gesù a Gerusalemme; in ricordo del suo trionfo, benediciamo le palme e leggiamo il racconto della sua passione e della sua morte. È il profeta Isaia con il suo terzo cantico sul servo sofferente di Iahvè che ci prepara ad ascoltare questo passo del Vangelo.
La sofferenza fa parte della missione del servo. Essa fa anche parte della nostra missione di cristiani. Non può esistere un servo coerente di Gesù se non con il suo fardello, come ci ricorda il salmo di oggi.
Ma nella sofferenza risiede la vittoria. “Egli spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce”. E, come il suono trionfale di una fanfara, risuonano le parole che richiamano l’antico inno cristiano sulla kenosi citato da san Paolo: “Per questo Dio l’ha esaltato al di sopra di tutto”. L’intera gloria del servo di Iahvè è nello spogliarsi completamente, nell’abbassarsi, nel servire come uno schiavo, fino alla morte. La parola essenziale è: “Per questo”. L’elevazione divina di Cristo è nel suo abbassarsi, nel suo servire, nella sua solidarietà con noi, in particolare con i più deboli e i più provati.
Poiché la divinità è l’amore. E l’amore si è manifestato con più forza proprio sulla croce, sulla croce dalla quale è scaturito il grido di fiducia filiale nel Padre.
“Dopo queste parole egli rese lo spirito”, e noi ci inginocchiamo - secondo la liturgia della messa - e ci immergiamo nella preghiera o nella meditazione. Questo istante di silenzio totale è essenziale, indispensabile a ciascuno di noi. Che cosa dirò al Crocifisso? A me stesso? Al Padre?

sabato 16 marzo 2013

477 - 5^ DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C) - 17 Marzo 2013

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8, 1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 
Commento
E' vicino il momento in cui Cristo farà la rivelazione più radicale - e la più incomprensibile per l’uomo - della sua potenza: morire sulla croce. È uno “scandalo per gli Ebrei, follia per i popoli pagani” (1Cor 1,23).
Già prima Gesù aveva parlato ai suoi discepoli della croce, che li stupì e confuse. Quello che osservavano, nel comportamento sociale, è che l’uomo utilizza la debolezza degli altri per affermare il proprio potere. Ma Gesù diceva loro: “I re delle nazioni... e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così” (Lc 22,25). E i farisei che pretendono di usare una povera donna, colta in flagrante delitto di adulterio, per compromettere Gesù, gli danno in effetti l’occasione di insegnare con un esempio i suoi nuovi metodi.
In primo luogo Gesù mette in evidenza l’ipocrisia dei farisei: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra. Dopo, toglie loro qualsiasi argomentazione. Mette in evidenza la loro ignoranza colpevole della legge che insegna che Dio, essendo potente sovrano, giudica con moderazione e governa con indulgenza, perché egli opera tutto ciò che vuole (Sal 115,3). Infine - e questo è il punto più importante del Vangelo -, Gesù insegna alle folle che non esiste più grande manifestazione di potere che il perdono. La morte stessa non ha un così grande potere. In effetti, solo il potere di Cristo, che muore crocifisso per amore, è capace di dare la vita. E soltanto il potere che serve a dare la vita è vero potere.

sabato 9 marzo 2013

476 - 4^ DOMENICA DI QUARESIMA - LAETARE (ANNO C) - 10 Marzo 2013

Dal Vangelo secondo Luca  (Lc 15,1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
 
Commento
O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione”: è con questa preghiera che apriamo la liturgia di questa domenica. Il Vangelo ci annuncia una misericordia che è già avvenuta e ci invita a riceverla in fretta: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”, dice san Paolo (2Cor 5,20).
Il padre non impedisce al suo secondogenito di allontanarsi da lui. Egli rispetta la sua libertà, che il figlio impiegherà per vivere una vita grigia e degradata. Ma mai si stanca di aspettare, fino al momento in cui potrà riabbracciarlo di nuovo, a casa.
Di fronte all’amore del padre, il peccato del figlio risalta maggiormente. La sofferenza e le privazioni sopportate dal figlio minore sono la conseguenza del suo desiderio di indipendenza e di autonomia, e di abbandono del padre. La nostalgia di una comunione perduta risveglia in lui un altro desiderio: riprendere il cammino del focolare familiare.
Questo desiderio del cuore, suscitato dalla grazia, è l’inizio della conversione che noi chiediamo di continuo a Dio. Siamo sempre sicuri dell’accoglienza del padre.
La figura del fratello maggiore ci ricorda che non ci comportiamo veramente da figli e figlie se non proviamo gli stessi sentimenti del padre. Il perdono passa per il riconoscimento del bisogno di essere costantemente accolti dal Padre. Solo così la Pasqua diventa per il cristiano una festa del perdono ricevuto e di vera fratellanza.

sabato 2 marzo 2013

475 - 3^ DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C) - 03 Marzo 2013

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,1-9)

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
 
Commento
L’uomo non è stato creato per rovinarsi la vita. Non si può neanche immaginare che, fornito di ragione, egli lo desideri. E tuttavia tutto sembra svolgersi in modo che ciò avvenga, a tale punto che si arriva a dubitare dei propri desideri di pienezza e perfino a negare la loro possibilità. Un fatto nuovo è accaduto nella storia, che “molti profeti e re hanno voluto vedere e non hanno visto, e udire e non hanno udito”. Una Presenza inevitabile, provocatoria, di un’autorità fino ad allora sconosciuta, che ha il potere di risvegliare nel cuore dell’uomo i suoi desideri più veri; un Uomo che si riconosce facilmente come la Via, la Verità e la Vita per raggiungere la propria completezza. Il momento è quindi decisivo, grave. Quest’uomo chiama tutti quelli che sono con lui a definire la propria vita davanti a lui. Ma c’è un’ultima e misteriosa resistenza dell’uomo proprio davanti a colui di cui ha più bisogno.
Bisogna quindi ingaggiare una battaglia definitiva perché l’uomo ritrovi il gusto della libertà. E Cristo lotterà fino alla morte, per dare “una dolce speranza e per concedere dopo i peccati la possibilità di pentirsi” (cf. Sap 12,19).
Ma non tentiamo di ingannarci. Ci troviamo nelle ultime ore decisive. Cristo può, in un ultimo momento di pazienza, prolungare il termine, come fa per il fico della parabola, ma non lo prolungherà in eterno!