sabato 30 luglio 2011

347 - 18^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) 31 Luglio 2011

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,13-21)
In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.


Commento

Molti domandano: “Chi è Gesù? Come vive colui che è il solo ad essere amato totalmente da Dio? Cosa si prova quando si è vicini a lui? Il Vangelo istruisce quelli che non hanno dimenticato come ascoltare. Gesù apprende la notizia della morte terribile di Giovanni Battista (Mt 14,3-12). Ne è colpito, e desidera rimanere solo. È questo il motivo per cui prende una barca per andare sul lago. Ma la folla non lo lascia. Quando egli accosta sull’altra riva, essa è già là: malati e sofferenti, tutti quelli che hanno bisogno di un Salvatore. E Gesù non si sottrae.
Le ore passano e gli apostoli si preoccupano. Essi vogliono che Gesù mandi via la folla. Tuttavia Gesù assume la propria responsabilità. Non vuole lasciare partire nessuno a pancia vuota. Egli dà senza fare conti, generosamente. Solo Dio può dare senza diventare povero. Gesù - incarnazione del Dio infinito nella nostra finitezza - dà come lui. Egli dona se stesso, ed esige da coloro che vogliono essere dei suoi: “Date loro da mangiare”; dividete il poco che avete, cinque pani, due pesci. “Date tutto”, e gli apostoli fanno la loro distribuzione. È Gesù che offre, i suoi apostoli che offrono, una Chiesa che offre se stessa: ecco il segno e il marchio della generosità di Dio.

346 - NON TEMERE, IO SONO CON TE

Tu non temere, perchè io sono con te; non ti smarrire, perchè io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia. (Is 41,10)

sabato 23 luglio 2011

345 - 17^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) - 24 Luglio 2011

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13, 44-52)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».


Commento
San Tommaso d’Aquino, il grande teologo del Medioevo, utilizza un’immagine: noi uomini siamo come una freccia già in piena corsa. Un altro ha preso la mira e ha tirato. Non spetta più a noi cercare un obiettivo: è già stabilito. E dove va questa freccia di cui il Creatore ha stabilito l’obiettivo? Ecco la risposta: la freccia corre verso il bene, e dunque verso la felicità. Dio, e la felicità di essere presso di lui, corrispondono alla più profonda aspirazione dell’uomo. Qui non vi è nulla di imposto, nessun compito da fare come penso, nessun passaggio a gincana, non dobbiamo stringere i denti. Come il ruscello scorre naturalmente verso il mare, così l’uomo è in cammino verso Dio. Questo insegnamento sugli uomini si trova nella parabola di Gesù che ci presenta il Vangelo. È riassunto in sette righe di una semplicità geniale. Il Regno dei cieli è proprio ciò che si cerca nel profondo del cuore. È come un tesoro di cui si scopre l’esistenza. È come una perla, la perla delle perle che il mercante ha cercato per tutta la sua vita. Se il mercante raggiunge il suo obiettivo, non è grazie alla sua tenacia, ma perché ciò gli è concesso in dono. Tuttavia il regno dei cieli non ci è tirato in testa. Bisogna impegnarsi personalmente, essere pronti anche a sacrificare tutto. Ma non per una cosa estranea. È ciò che abbiamo di più personale, e al tempo stesso un dono. E bisogna saper cogliere questo dono; bisogna essere pronti. Quando si raggiunge l’obiettivo, non bisogna crollare come dopo un eccesso di sforzo, ma esultare di indescrivibile gioia.
Il segreto del cristianesimo può essere espresso in un’immagine di sette righe. Ce ne vogliono un po’ di più ai predicatori! Quanto a ciascuno di noi, ci vuole tutta una vita per capirlo.

344 - INSEGNACI A PREGARE



sabato 16 luglio 2011

343 - 16^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) - 17 Luglio 2011

Dal Vangelo secondo Matteo
Forma breve (Mt 13,24-30)
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».

Commento
Seguitemi, andiamo su una collina per osservare dall’alto il campo di cui si parla nel Vangelo. Guardiamo cosa succede.
Noi non vediamo più il nemico, è molto tempo che è scomparso. Ciò che vediamo sono delle comunità. Vi sono i buoni cristiani, le persone tiepide, critiche, o complicate in seno alla Chiesa, i peccatori, gli indifferenti. Si fa fatica a distinguere chi fa parte del grano, chi della zizzania. Se continuiamo a guardare, notiamo delle piante che contengono sia del grano, sia della zizzania. Infine delle piante che cambiano. Il grano diventa zizzania e la zizzania grano. Nel campo regna la confusione. Vedo me stesso da qualche parte, sono tra il grano? O tra la zizzania?
Vedo anche i miei colleghi: come mai quello lì è laggiù? È incredibile, si trova dove c’è un sacco di grano. Nel campo tutto ha il diritto di crescere, tutti hanno una possibilità.
Poi vediamo, dalla nostra collina, i lavoratori. Tra di loro vi sono dei fanatici dell’ordine, dei giardinieri modello, degli artisti del paesaggio come al tempo rococò. Sognano giardini alla francese, in cui tutto è tagliato secondo le regole. Non vorrei cadere nelle loro mani. Sono pastori, o sceriffi che sorvegliano da vicino il loro settore?
Ed ecco il contadino. Noi lo indoviniamo, più che vederlo veramente. È là ad aspettare, al fondo della sua casa. Aspetta, paziente, esultando già per la messe. Chiama con tutte le sue promesse colui - che dico? - coloro che vogliono venire a lui. Ripone la sua speranza in molti, in tutti, in tutto questo campo singolare.

sabato 9 luglio 2011

342 - 15^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) - 10 Luglio 2011

Dal Vangelo secondo Matteo (13,11-23)


Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».


CommentoGrassetto

Il Vangelo ci racconta - se si eccettua l’ultima frase - la storia di una catastrofe. Tutto comincia nella speranza e, nonostante questo, non tarda ad essere ridotto ad un nulla: gli uccelli mangiano il seme; il terreno pietroso gli impedisce di mettere le radici; le piante spinose lo soffocano... tutto segue il suo corso disperante.
Tuttavia, in mezzo a questa catastrofe, Dio annuncia il suo “ma”: in mezzo al campo di concentramento di Auschwitz, padre Kolbe - morendo di denutrizione - loda ancora Dio onnipotente.
Nella parabola del seminatore si incontra il “ma” di Dio: ci sono poche speranze, ma vi è almeno una terra buona per portare cento frutti.
È con gli occhi di Gesù che bisogna leggerle questo genere di storie catastrofiche. E bisogna leggerle con Gesù fino in fondo.
La prima parte mostra che tutto è vano. Eppure la storia di questa sconfitta porta ad una conclusione inattesa. Dio, nella sua infinita misericordia, non lascia che il seminatore soccomba come un personaggio tragico.
Forse abbiamo qui, davanti a noi, una legge che vale per tutte le azioni di Dio nel mondo. Poiché la causa di Dio nel mondo è spesso povera e poco appariscente. Quando la si prende a cuore, si può soccombere alla tentazione della disperazione. Ma le storie di Dio hanno un lieto fine. Anche se all’inizio nulla lascia presagirlo.
Forse Gesù non racconta solo questa storia alle persone che sono sulle rive del lago. Forse la racconta a se stesso per consolarsi. Si chiede: cosa sarà di ciò che intraprendo? Si scontra con la cecità, il rifiuto, la pedanteria e la violenza. Non è ignaro delle sconfitte. “Ma” la sua parola porta i suoi frutti nel cuore degli uomini.

venerdì 1 luglio 2011

341 - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) - 03 Luglio 2011

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11, 25-30)
In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».


Commento

Gesù prega. Si rivolge a suo Padre. La sua preghiera è un’azione di grazie. Egli loda suo Padre, non in quanto tale, ma per ciò che fa. Si meraviglia di vedere la spontaneità dei bambini e la gente senza cultura rispondere alla sua predicazione. Come, d’altra parte, si dispiace di vedere allontanarsi da sé coloro che avevano tutte le possibilità di riconoscerlo (Gv 9,40-41). Qui la gioia di Gesù esplode. Nessuno lo mette in discussione, nessuno lo fa passare al vaglio di una critica saccente. Vi sono anche coloro che lo accolgono semplicemente, che spontaneamente intuiscono che non si tratta di capire tutto, ma di accettare d’essere amati. È veramente necessario assomigliare a quei bambini che Gesù ama e accarezza (Mc 10,16), e che sono felici di essere amati, perché non sono discussi. È veramente necessario abbassare le armi davanti a lui, a rischio di passare di fianco al più bell’incontro che un uomo possa fare senza accorgersene. E per colui che lo accoglie in tal modo Gesù serba le rivelazioni più grandi, quelle che nessuno può conoscere (Mt 11,27) e che trattano del mistero di Dio stesso. C’è di più. Coloro che pregano ne fanno l’esperienza. Dio parla loro quando essi si confidano a lui. Essi comprendono quando non sono sulle difensive. Essi amano veramente quando accettano di essere amati, poiché Dio ci ama sempre per primo (1Gv 4,10) ma noi ci difendiamo, non vogliamo essere sensibili, e facciamo fatica a lasciarci andare. Noi ci complichiamo la vita spirituale. Cerchiamo il difficile dove le cose sono semplici. Il giogo del Signore è leggero, poiché egli lo porta per noi.